Per un’epistemologia della pedagogia interculturale
di Agnese Niero e Luciano Pasqualotto (IT)
El concepto de interculturalidad en la educación empieza a desarrollarse a partir de los años setenta cuando los países del norte de Europa ven la necesidad de gestionar los problemas planteas por la inmigración masiva a causa del boom económico del decenio precedente. (it) Se intentan establecer entonces sitemas formativos para intentar superar las desventajas socioculturales de los sujetos más “débiles” con respecto a un estándar de prestaciones de escolaridad bien definido y se desarrolla en estrecha relación con la educación de adultos.
L’approccio interculturale all’educazione si sviluppa a partire dagli anni settanta, allorché i Paesi del nord Europa si trovano a gestire i problemi posti dalla massiccia immigrazione favorita dal boom economico del decennio precedente. «Essa trae origine nell’ambito delle cosiddette «pedagogie compensative» che in quel periodo si affermarono in seno ai sistemi formativi per cercare di colmare e recuperare gli svantaggi socioculturali dei soggetti più «deboli» rispetto ad uno standard di prestazioni scolastiche ben definito, e si sviluppa in stretta relazione con i provvedimenti assunti in tema di educazione degli adulti, finalizzati all’integrazione di questi nel contesto geo-politico di approdo» [F. Poletti, L’educazione interculturale, La Nuova Italia, Firenze, 1992, p. 118. ]].
In Italia i primi studi di pedagogia interculturale «hanno preso le mosse dai risultati delle ricerche condotte sulle condizioni di vita dei figli dei nostri lavoratori all’estero, ipotizzando una loro generalizzabilità a tutti i bambini che vivono tra due culture. Successivamente si sono visti i limiti della estensibilità dei risultati di queste ricerche ai figli dei lavoratori extracomunitari» [1].
Oggi si parla molto di pedagogia e di educazione interculturali. Felice Rizzi premette opportunamente che «l’interculturale non è né una moda né un problema che riguardi un segmento di società, ma la connotazione della società del futuro, la scelta che (…) favorisce processi di emancipazione e di cooperazione» [2].
Per inciso, si rileva che il grande interesse intorno alla pedagogia interculturale deborda dagli ambiti propri in cui era sorto. Secondo il Rizzi si tratta di «una nuova forma di «pedagogia laica» nel senso pieno della parola: vale a dire nel riconoscimento della pluralità delle risposte di senso ai problemi della vita e nella capacità di dialogo e di ricerca di obiettivi comuni per tutti i popoli» (4). Vico sostiene addirittura che ci attende il compito «di un più coerente accostamento interculturale alla stessa pedagogia e ai problemi dell’educazione concernenti gli alunni e le persone in difficoltà: come agire, cosa fare, alla luce di che cosa insegnare, proporre, educare nello scolastico e nell’extrascolastico per quanto concerne rapporti, discipline, interventi socio-educativi, valori?» [3].
Una definizione epistemologica della pedagogia interculturale
Sebbene vi sia ormai una vasta letteratura sulla pedagogia interculturale, sul piano epistemologico si nota una sostanziale concordanza nel ritenere che l’approccio interculturale non porti ad nuova scienza, diversa dalla pedagogia tout-court.
Secondo Gino Dalle Fratte, in ambito pedagogico gli eventi presi in considerazione «appartengono alla categoria dei «fatti/atti sociali». Vale a dire che, propriamente, la pedagogia riconosce come fattore specificante nella vita dell’uomo la presenza degli altri uomini. La relazione sociale appare da questo punto di vista costitutiva degli eventi che la pedagogia prende in considerazione. (…) Nei «fatti/atti educativi» esiste un rapporto asimmetrico tra un soggetto agente (educatore, maestro, insegnante, ecc.), in una posizione che si dice educativa, ed un secondo, anch’esso agente, in posizione di apprendimento. (…) Le proprietà della socialità e dell’asimmetria non sono tuttavia ancora sufficienti. Una terza proprietà, definibile come «intenzione educativa» permette di raggiungere intensivamente una specificità sufficiente a risolvere il problema della definizione dell’universo oggettuale della pedagogia» [4].
Se assumiamo dunque che la Pedagogia sia una scienza pratico-prescrittiva [5] e che il suo oggetto di studio specifico sia l’educazione [6], non possiamo ritenere che le varie pedagogie che si sono sviluppate negli anni (pedagogia sociale, pedagogia speciale, pedagogia sperimentale, pedagogia degli adulti, metodologia e didattica) abbiano un diverso ed esclusivo oggetto di indagine. Rispetto all’educazione esse pongono semmai sottolineature specifiche, studiano in profondità aspetti particolari, che trovano tra loro numerosi punti di intersezione se non di sovrapposizione. Siamo d’accordo con A. Mangano che ciò arricchisca, e non depauperi, i risultati degli studi [7]. «Ogni scienza pedagogica può distinguersi da un’altra in base alla specifica prospettiva da cui essa studia l’educazione. Prospettiva che, diversamente dall’oggetto, può essere esclusiva di una singola scienza» [8].
Comunque si ritiene che «le diverse scienze pedagogiche non possono non essere accomunate (…) da due dimensioni fondamentali:
a) la dimensione teoretico-valoriale, che mai alcuna scienza pedagogica (dalla filosofia dell’educazione alla pedagogia sperimentale, alle didattiche) può legittimamente escludere, non essendoci azione educativa che non sia comunque finalizzata, in modo esplicito o implicito (…);
b) la dimensione empirica, fattuale e prassica».
Sulla base di questi elementi possiamo affermare che la pedagogia interculturale studia l’educazione, cioè quel rapporto asimmetrico tra un educatore ed un minore, intenzionato a promuovere, in quest’ultimo, una serie di capacità (a livello di sapere, saper essere e saper fare) che hanno una valenza «interculturale».
Fuente: educare.it
[1] G. Zanniello (a cura di), Interculturalità, La Scuola, Brescia, 1992.
[2] F. Rizzi, Educazione e società interculturale, La Scuola, Brescia, 1992, p. 15.
[3] Ibidem, p. 56.
[4] G. Vico, L’intercultura e i suoi problemi educativi, in AA.VV., Pedagogia interculturale, La Scuola, Brescia, 1992, p. 55.
[5] G. Dalle Fratte (a cura di), Teoria e modello in pedagogia, Armando, Roma, 1986, pp. 21-22.
[6] F. Larocca, Handicap indotto e società, Il Sentiero, Verona, 1991, p. 27.
[7] Ibidem, p. 35.
[8] A. Mangano, Problemi e prospettive della pedagogia sociale, Bulzoni, Roma, 1989, p. 7.